martedì 25 settembre 2018

Porsche: il Mito compie 70 anni.


Festa per il Cavallino rampante di Stoccarda che celebra il “Porsche 70 anniversary”, riferendosi, evidentemente alla prima vettura in serie, la 356, del 1948. Invero Ferdinand Porsche aveva fondato l'azienda che porta il suo nome nel 1931. La prima vettura, la P Wagen, è acquistata erealizzata da Auto Union, che diverrà Audi, 


ed è subito leggenda: motore posteriore (bisognerà attendere gl'anni '50 per vedere ripresa questa soluzione) da 6.0 litri di cilindrata, con compressore volumetrico, telaio in cromomolibdeno e carrozza in alluminio, 520 CV e 407 Km/h, record dell'epoca. Con Bernd Rosenmayer la vettura fu, insieme a Mercedes, la protagonista assoluta 


delle corse nel 1936. Del resto, dire Mercedes era dire di nuovo Porsche: lamitica SSK, dominatrice delle corse fine anni '20 e primi anni '30 era unacreatura di Ferdinand. La 356 porta il marchio Porsche e lo scudetto che sarà famoso con il cavallino rampante di Stoccarda, ma prende telaio e meccanica dal primo grande successo “di 


massa” di Porsche: il maggiolino VolksWagen. L'idea invero non fu di Porsche, bensì di Adolf Hitler, il quale, di contro ad un'industria automobilistica tedesca dell'epoca dedita prevalentemente alla produzione di auto di lusso, voleva un'auto popolare dal prezzo accessibile per la 


motorizzazione del popolo tedesco. La GESTAPO fu quindi incaricata di trovare il miglior ingegnere automobilistico e convocarlo. Fu convocato Ferdinad Porsche cui furono dati i punti di massima della nuova vettura: un'auto in grado di portare a 120 Km/h cinque operai o tre 


soldati e due mitragliatrici, in grado di percorrere 100 Km con 7 litri di carburante e dal costo non superiore a 10 mesi di paga di un operaio. Del Maggiolino la 356 riprende struttura portante e motore da 1.1 litri di cilindrata, ma utilizza una carrozzeria ultraleggera in alluminio battuto ed assetto ribassato. Ne risulta una vettura dalle prestazioni brillanti che andranno 


vieppiù migliorando con il progressivo incremento della cilindrata ad 1.2, 1.6 e 2.0 litri. Affidabilità, tenuta di strada, leggerezza e prestazioni brillanti fanno della vettura un assoluto punto di riferimento e la rendono ambita per VIP e protagonista del cinema. La 356 sarà prodotta fino al 1966, ma nel 1963 sarà affiancata da una vettura concettualmente simile ma di categoria superiore, e questa diverrà il definitivo Mito Porsche: la 911, icona di 



riferimento della casa, con regolari ammodernamenti e restayling anche radicali, sino ad oggi. Il motore è sempre posteriore, raffreddato ad aria, come nel maggiolino e nella 356, ma i cilindri non sono più 4 bensì 6 anche se è mantenuta sempre la classica disposizione “Boxer”, ossia i cilindri sono uno di fronte all'altro come due pugili. Ne risulta una fluidità inferiore a quella di un motore con disposizione a “V”, ed anche di un “cilindri in linea”, ma in compenso più forte. Per 



le corse i successi arrivano a fine anni '60 e primi anni '70 con la mitica 917 che nella versione “Le Mans” segnerà il record di velocità sul circuito a 397 Km/h sul leggendario rettilineo (13 Km) dell'omonima pista. In “formula 1” i successi arrivano nel 1984 ed 85 con la vittoria dei mondiali con le McLaren – Porsche. Per il futuro, la casa fondata da Ferdinad può a ragione citare il 



motto “... il futuro è solo il ricordo di uno stupendo passato”: le vetture elettriche ed ibride cui si volge fanno infatti parte degli inizi della carriera di Porsche: è nel 1900 che con successo Ferdinad realizza la Lohner-Porsche con un motore elettrico per ogni ruota ed è sua la prima auto ibrida in assoluto: la Mixte Hybrid a trazione integrale... Insomma: buon compleanno ed auguronissimi.
francesco latteri scholten.

venerdì 14 settembre 2018

Il processo a Cristo come metafora della menzogna del potere.


Il processo a ns Signore Gesù Cristo, potrebbe, a ben vedere, essere la più classica delle metafore del processo che il Potere di ogni tempo e luogo istituisce nei confronti dell'uomo, del cittadino, anche qui. di ogni tempo e luogo. Si tratta della vicenda per antonomasia del cittadino a cospetto del Potere. Esso potrebbe benissimo aprirsi con le celebri parole della forma romanzata di tale vicenda, “Il Processo” di Kafka: “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. Perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato”. La vicenda ha anche un antecedente storico e due letterari famosi: il processo a Socrate, “L'apologia di Socrate” ed “Il Fedone” di Platone. L'apertura dell' “Apologia” è illuminante: “Quello che è avvenuto a voi, ateniesi, in udire i miei accusatori, non so; ma io, per cagion loro, poco meno mi dimenticai di me stesso, così parlarono persuasivamente: benché, se ho a dire, essi non han 


detto nulla di vero. Ma delle molte loro menzogne ne ammirai massimamente una, questa: dissero che a voi bene conveniva guardarvi non foste tratti da me in inganno perciò che sono terribile dicitore; questa mi parve la lor maggiore impudenza: salvo che non chiamino terribile dicitore uno che dice il Vero; ché se intendono così, ben consentirei che sono oratore io: ma non a lor modo”. Platone centra subito il nucleo del problema, quello del rapporto tra Verità e Giustizia: il Giusto, finisce sempre – suo malgrado – per smascherare la natura menzognera e mendace del Potere, cioè finisce per mostrarne l'illiceità. E' quanto accade anzitutto sul piano veritativo primo, quello religioso, dove una religiosità autentica finisce ineluttabilmente per smascherare quella inautentica come il più brutale e perfido instrumentum regni. Il dire e l'agire di Caifa sono a riguardo esemplari. Scrive Dante: “Quel confitto che tu miri, consigliò i 


Farisei che convenìa porre un uom per lo popolo a' martìri”. La menzogna sul piano veritativo primo crea infatti una falsa e mendace visione e concezione sia del mondo che dell'uomo e perciò della società. Così la menzogna si trasferisce sul piano socio politico, come ci mostra l'evangelista Giovanni: “Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce. Gli dice Pilato: Che cos'é la Verità?”. Trasposta su questo piano la menzogna consiste nel mostrare come vere una falsa verità antropologica e come volontà autentica del cittadino quella che è la volontà del Potere: “Ma essi insistevamo a gran voce, chiedendo che fosse crocifisso. E le loro grida si facevano sempre più forti. Pilato allora decretò che fosse eseguita la loro richiesta. Rilasciò quello che era stato messo in prigione per sommossa e omicidio, e che quelli 


richiedevano, ma consegnò Gesù alla loro volontà”. Nessun diritto può lecitamente condannare un innocente e tanto meno condannarlo a morte. Né può farlo legittimamente alcun potere. E' per ciò che questo illecito gravissimo deve essere fatto commettere dalla massa e fatto apparire come commesso dalla massa, affinché il Potere possa mostrarlo come commesso da altri, e con questo mostrare la sua presunta innocenza a questa. Così, al sommo della propria nefandezza, il Potere può mostrarsi al sommo della Giustizia: “Ma questa è l'ora vostra e la potenza delle Tenebre”. Kafka ci mostra come nelle società moderne il Potere e con esso la Menzogna siano ulteriormente accresciute e radicalizzate: In esse, non c'è ormai più neppure un tribunale ed un giudizio farsa, è il cittadino stesso che, nella misura in cui non mente complice, ad essere fatto apparire come autore dell'illecito del Potere, e, di più, a giudicarsi e condannarsi: “La 


logica è certo incrollabile, ma non resiste ad un uomo che vuole vivere. Dov'era il giudice che non aveva mai visto? Dov'era l'alto tribunale al quale non era mai arrivato? Alzò le mani allargando tutte le dita. Ma alla gola di K. Si strinsero le mani di uno degli individui, mentre l'altro gli infilava il coltello nel cuore rigirandolo poi due volte. Con gli occhi che si spegnevano K. Vide ancora come gl'uomini, vicino al suo viso, poggiati guancia a guancia, osservavano la conclusione. Come un cane!, disse, era come se la vergogna gli dovesse sopravvivere”.
francesco latteri scholten.


lunedì 9 aprile 2018

I 3 modi di pensare della ns Mente: Deduzione, Induzione e Abduzione in Peirce.


Charles Sanders Peirce (Cambridge 1839 – Milford 1914), uno dei più significativi protagonisti del mondo accademico di fine '800 ha studiato gli aspetti logici dell'epistemologia. Tichismo è la realtà casuale del mondo, in cui per Peirce non esiste alcuna necessità. La natura di tutti i procedimenti scientifici per Peirce è assolutamente probabilistica in quanto i tre fondamentali modi del pensiero umano – Deduzione, Induzione e Abduzione – a ciò rinviano. La Deduzione è quella che tramite una legge predice con assoluta certezza un risultato da un caso: ho comprato un sacco di fagioli bianchi, estraggo a caso un pugno di fagioli: ho la certezza che i fagioli che estrarrò sono bianchi. La deduzione è sicura solo in pochi 


sistemi assiomatici (quando il commerciante e quelli che hanno provveduto all'insacchettamento dei fagioli sono stati rigorosamente onesti...). L'Induzione si ha quando da una serie di risultati si inferisce una legge: si prende il sacco senza sapere cosa contenga e si estrae un pugno di fagioli, si ripete l'esperienza per un certo numero di volte e si inferisce che il sacco contenga solo fagioli bianchi. Anche qui invero il risultato è probabilistico. Infine l'Abduzione o ipotesi è ciò che comunemente si chiama congettura: ho sul tavolo diversi pugni di fagioli bianchi ed un sacco e da ciò cerco di inferire 


una legge che ne renda conto: il sacco contiene fagioli bianchi ed i fagioli sul tavolo sono fagioli di quel sacco. Il risultato è ora solo un caso di questa legge. Peirce dimostra che l'Abduzione è la caratteristica di tutte le scoperte scientifiche rivoluzionarie, come ad es. quella di Keplero sulle orbite dei pianeti. Keplero infatti misurò la posizione del pianeta Marte su due punti della sua orbita dimostrando che non poteva trattarsi di due posizioni su un cerchio. Ipotizzò – congetturò – dunque che le posizioni dovessero essere spiegabili se l'orbita fosse stata ellittica e verificò questo caso. L'Abduzione, di cui sempre si serve invero il pensiero scientifico 


rimanda alla convinzione spirituale spinoziana per cui “ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum”. Ma ahimè, Freud ha dimostrato che ad es. la categoria dello spazio/tempo è una categoria del mondo esterno e non della nostra mente che ad essa è indifferente e che ordina in base alla intensità dei vissuti. E non è l'unica cosa.
francesco latteri scholten.

domenica 7 gennaio 2018

Galileo e Archimede, il perché dell’infinito.


L'infinito è uno dei problemi più complessi della scienza al punto da essere stato definito il Santo Graal della matematica, e non pochi si sono persi sulla strada della sua ricerca, alcuni di coloro che riuscirono ad avvicinarsi di più persero la ragione come Cantor.

Pur essendo un concetto che potrebbe sembrare astratto, ad unico appannaggio degli scienziati, un diletto intellettuale per menti matematiche, costituisce un passaggio obbligatorio per lo sviluppo di molti rami della scienza, e di conseguenza è molto importante da un punto di vista pratico: ci serve nella vita quotidiana, perché ci serve la matematica.

L’infinito, fin dalla notte dei tempi, ha due direzioni nelle quali creare problemi agli scienziati, ai filosofi ed ai teologi: verso il macro, il grande, si arriva quindi alla questione dell’universo infinito, e nella direzione del piccolo, che in matematica significa la divisibilità della retta o meglio di una grandezza, per usare la terminologia della matematica classica, dove una grandezza può essere qualsiasi elemento geometrico, in Archimede lo è anche il tempo, per cui all’epoca parlare della divisibilità di una grandezza non era dovutamente la stessa cosa che parlare della divisibilità di una retta.


Come detto, non si tratta di vezzi accademici, o della curiosità di alcuni matematici dell’antichità, che si chiesero come dividere un segmento. La questione della divisione di una grandezza è legata ai fondamenti della matematica, nacque con i pitagorici e si impose come grave necessità nel momento in cui si giunse alla razionalizzazione della geometria, per cui alcuni matematici e filosofi come Parmenide, Zenone e Democrito intesero le figure geometriche come composte da una quantità infinità di elementi, quindi non solo avevano bisogno dell’infinito per potere lavorare, ma di una matematica dell’infinito, che permettesse di gestire i rapporti tra figure geometriche, per questo motivo Eudosso e Archimede, che furono tra il risolutori del problema, vengono definiti i padri del calcolo infinitesimale.

Il difficile problema dell’infinita divisibilità della retta, noto anche come il Continuo, impegnò alcune delle più eccellenti menti matematiche della storia, trovò una soluzione definitiva, a tutt’oggi valida, nella cosiddetta teoria delle proporzioni, nota anche come assioma di Archimede, che nella sua versione eudossiana costituisce la base della moderna definizione di numero.


Facciamo una breve e molto sommaria escursione nella teoria delle proporzioni, così capiremo anche perché a Galileo (il miglior allievo di Archimede) pur non essendo un matematico si interessò dell’infinito.

La teoria delle proporzioni non raggiunse una conclusione unitaria, ma sfaccettata. Il nucleo originale, di cui l’assioma di Archimede costituisce un ulteriore raffinamento, in base alla testimonianza dello stesso Archimede, sembra doversi attribuire ad Eudosso di Cnido, allievo del pitagorico Archita di Taranto, ed afferma:

“Date due grandezze disuguali non nulle, la minore sommata a se stessa un numero sufficiente di volte, finirà col superare la maggiore”

Di maggiore successo fu la versione di Euclide più generale e quindi di facile applicazione, conservata in Elementi V.5, un capolavoro sia filosofico che logico/scientifico del pensiero occidentale.

La teoria delle proporzioni nelle sue diverse sfaccettature è spesso usata nei teoremi archimedei ed è anche alla base delle leggi sul moto uniforme, che aprono lo studio Sulle Spirali, dove la stessa spirale è una curva che ruota sul proprio asse secondo una determinata proporzione estendendosi all’infinito ed era praticamente impossibile 


concepire o elaborare le leggi sul moto senza una teoria che regolasse i rapporti tra due o più grandezze (rette) e la loro divisibilità. Fu quindi la maturità raggiunta dalla matematica del suo tempo che permise ad Archimede di concepire e portare a termine uno studio così complesso come quello sulle spirali, nel quale la teoria delle proporzioni e l’infinito giocano un ruolo fondamentale.

Similmente Galileo, si interessò alla teoria delle proporzioni per elaborare le leggi sul moto, solo che qui subentra, come ha notato Frajese, una piccola variante tra maestro e allievo, sembra infatti che Archimede, nel caso specifico delle leggi sul moto, abbia fatto ricorso non al suo assioma, bensì alla più antica versione eudossiana, mentre Galileo usò quella euclidea.

Lo sforzo scientifico maggiore in questo caso fu però di Galileo, che essendo ancora legato ad una concezione platonica della matematica, aveva difficoltà a comprendere a fondo la teoria delle proporzioni, ciò nonostante riuscì a sviluppare le leggi sul moto e calcolare i movimenti planetari e creare il suo capolavoro: il sistema eliocentrico.

Con questo speriamo di essere riusciti a dare uno stralcio del perché lo studio sull’infinito è stato così importante nella storia dell’uomo, e del perché se noi oggi riusciamo a calcolare il movimento, il che significa fare muovere gli 


oggetti e noi stessi, lo dobbiamo agli scienziati che più di 2500 anni fa, hanno gettato le basi della nostra scienza, e lo hanno fatto così bene che regge tutt’ora in modo mirabile; se non si arrivò prima ad ottenere i risultati che abbiamo oggi, è perché purtroppo ben presto comparvero filosofie come lo scetticismo che tolsero credibilità al procedimento scientifico, guerre e sete di potere fecero il resto. Il sapere umano nonostante tutto è un fiore estremamente delicato, ancora oggi, nonostante internet. Dalla morte di Archimede nel 212 a.C a Galileo erano passati molti secoli e gli scritti del siracusano erano stati letti dai massimi studiosi di tutti i secoli, eppure si dovette attendere l’arrivo di Galileo affinché ne capisse la reale portata e la scienza antica potesse rinascere.

Nicoletta Latteri

venerdì 21 luglio 2017

Il de profundis del cattolicesimo: il coro di Ratisbona intona le note della teologia della liberazione.


Sono tante più o meno recenti, ma anche antiche, le apparizioni della Madonna e le profezie che danno il crollo del cristianesimo in Occidente e la sua rinascita dalla Russia. La profezia sta indubbiamente avverandosi sotto gl'occhi di tutti. E' significativo che il cristianesimo rinasca con forza proprio lì dove il marxismo l'aveva praticamente distrutto. E' significativo che ciò avvenga dopo il crollo del marxismo che si era illuso di costruire una società migliore e più giusta ripetendo l'errore di Marx, che, sulla scia della “mano invisibile” di Adam Smith (il laissez faire che tutto si aggiusta), aveva creduto che bastasse a ciò spogliare gli usurpatori e statalizzare i mezzi di produzione. Si è così non usciti dal capitalismo come Marx agognava, bensì soltanto entrati in una sua altra e più perniciosa forma: il capitalismo di Stato. Nel 1989 quel regime è morto ed oggi la Russia sta rinascendo. Una rinascita che vede la Risurrezione forte del cristianesimo. Anche l'altro grande fratello marxista, la Cina, ha decretato ufficialmente con Xi Jinping il definitivo abbandono del marxismo ed il ritorno alla grande storia e tradizione cinese, ossia al confucianesimo. Ma, mentre in Russia si tolgono le statue di Lenin ed in Cina quelle di Mao, paradossalmente, nella Chiesa “Cattolica” il marxismo, con la “teologia della liberazione”, ha saldamente preso piede soprattutto in America Latina, dove a Concordia in Brasile nel 1938 è nato uno dei suoi più importanti fondatori, Leonardo Boff. Nel 1985, l'allora preposto alla Congregazione della Dottrina della Fede, Crad. Joseph Ratzinger lo ha ammonito e l'anno successivo condannato al “silenzio rispettoso”. La condanna, contrariamente a quanto creduto da certa parte dell'opinione pubblica, non avviene ad opera di un reazionario intransigente, di un “pastore tedesco”, bensì da parte del più grande Teologo del Novecento, un progressista, che San Giovanni XXIII aveva chiamato a dirigere i lavori del Concilio Vaticano II proprio per il suo essere progressista. Apertura al 


progresso ed accettazione di tutto quanto possibile di esso, ma tenendo saldamente la mente e gl'occhi a Cristo, al suo Vangelo, alla tradizione bimillenaria della Chiesa. Per questo anche Paolo VI prima e San Giovanni Paolo II poi, hanno fatto riferimento a Joseph Ratzinger. Ma, una teologia, quale quella della “liberazione” cui riferimento centrale è un modello sociologico marxista materialista integralista non è eo ipso accomunabile con il cristianesimo. Leonardo Boff ha però sempre rifiutato i criteri della sociologia cristiana e per questo, coerentemente, nel 1992 ha lasciato il sacerdozio e l'Ordine francescano cui apparteneva. Molti suoi compagni di cordata non hanno avuto la sua coerenza e dall'interno della Chiesa hanno continuato la loro lotta (o guerra?) per la loro “teologia” e sociologia material marxista (che, in quanto materialismo, teologia non è) che non è assimilabile e cumulabile – se ne sono resi conto loro stessi – con la Teologia Cristiana. Guerra a questa Teologia e guerra all'Occidente ed al Nord perchè questa Teologia è quella dell'Occidente e del Nord, un Occidente ed un Nord che non si è mai stati capaci di vedere se non nell'angusto limite dei propri pregiudizi. Un Occidente ed un Nord che non si è mai stati capaci di vedere se non da fuori. Una guerra in cui, al pari della Jihad islamica, si vuole l'Occidente morto, per principio. Un Occidente di cui si vedono i limiti e si negano le grandezze. Ebbene: nessuno più di Joseph Ratzinger, da prima del Concilio, a tutto il suo pontificato, e sino ad oggi, è la migliore incarnazione di tutto ciò. Nessuno più di lui, per questo, va CANCELLATO. Ma, proprio l'Occidente ormai scristianizzato, assai più che la Russia rampante con un risorto cristianesimo o la Cina altrettanto rampante con un redento Confucio, è il terreno ideale per la guerra alla Teologia. Una Germania, oltre che una Francia e Belgio e tanti altri, ormai secolarizzati dove il Cristianesimo è in agonia, è il terreno ideale dove colpire, dove portare a termine la cancellazione. Ed ecco allora che, in nome 


e sotto l'egida di una “teologia della liberazione” - cui afferiscono mercanti di schiavi e speculatori di uomini come Soros, satanisti come Hillary Clinton – il coro di Ratisbona intona l'inno della “teologia della liberazione”, cui fine è appunto la cancellazione. Ma, se alla luce delle profezie e delle apparizioni della Madonna, guardiamo alle immagini della Storia, nell'abbraccio di Papa Benedetto con il Patriarca Russo e con lo stesso Putin non possiamo non vedere il passaggio del testimone. In Russia la Madonna ha schiacciato la testa al serpente marxista che ora grazie a Soros e Clinton è entrato ai massimi vertici della Chiesa. Ebbene anche nella Chiesa al serpente sarà schiacciata la testa, perchè quand'anche egli vi imperasse, impererebbe sul nulla, perchè “sono arrivati molti falsi pastori ma le pecore non li hanno seguiti” e la Chiesa di Soros, Clinton & C. è vuota, come di fatto lo sono sempre di più tutte le chiese. La Russia lo dimostra: le teologie della liberazione possono solo perseguitare e distruggere. La Russia lo dimostra: solo Cristo può riempire la Chiesa: Christus vivit, Christus regnat, Christus imperat. La “teologia della liberazione” può solo fare ciò che sta già facendo con la sua regia e le note del suo nuovo inno il coro di Ratisbona, un tempo il primo al mondo, oggi una farsa che intona una canzonaccia popolare da bettole e bordelli. La vera essenza della “teologia della liberazione” ed i luoghi e le genti presso cui può fare qualche occasionale e sporadico adepto.
francesco latteri scholten



P.S. I 547 casi di violenza e 67 “abusi” riguardano la Vorschule Etterzhausen diretta da Johan Maier e frequentata anche da allievi del Coro di Ratisbona. Ratzinger non c'entra un cazzo. Di più il Card. Muller non è quello che ha insabbiato, bensì quello che ha aperto l'inchiesta... Di più ancora i principali presunti responsabili, tutti laici e della Vorschule, sono morti da decenni... Di più i reati sono prescritti pure essi da decenni... Rete di cazzari.

lunedì 26 giugno 2017

Grazie Antonio: la Festa della Luce 2017 alla Piramide del 38° parallelo.


Il Solstizio d'Estate è celebrato da sempre dall'umanità. E' il giorno della vittoria della Luce sulle tenebre, per eccellenza il giorno della Vita. Ad esso bene si addicono le parole antiche dell'inno alla Speranza di Orazio: “Vergine custode di monti, di boschi: che senti il triplice chiamare della ragazza nella doglia e la salvi da morte: Dea dai tre volti: ecco un pino che guarda la mia casa di campagna: sia tuo. Lieto, sempre, al compiersi dell'anno, gli doni in sacrificio un verro, che ha nel cuore un balzo obliquo...” E, per me, l'invito di Antonio Presti, a superare la dimensione economico/materialista per volgersi con lo Studio agli orizzonti della Cultura è la riproposizione, forte, della Speranza. La Speranza 


che “l'attuale momento di mediocrità – come lui a ragione definisce quello odierno – sia superato...” Che sia superato l'esito perverso cui esso ci ha condotti: “non abbiamo più occhi legati al cuore...”. Il Rito vuole invece tornare a questo, celebrare Luce e Conoscenza, l'antica Sapienza. Uscire dal totalitarismo del Profano che ormai ci attanaglia, per, una volta all'anno, reistituire un Tempo Sacro ed uno Spazio Sacro: quelli che sempre hanno scandito la realtà dell'uomo. I riti legati al culto del Sole, da sempre hanno riprodotto a livello microcosmico la 


struttura dell'intero Universo e sono sempre stati praticati in momenti in cui si avverte il bisogno di rigenerare il mondo con un processo di nuova generazione. Un bisogno oggi così urgente che la stragrande maggioranza non è più neppure in grado di avvertire. Antonio Presti è uomo della élite che ancora è invece in grado di avvertire la grande urgenza di questo. In una atmosfera di Bellezza, dominata dal colore Bianco, simbolo di purezza, di ieraticità, di misticismo, dominata da paesaggi mozzafiato, da canti, realtà yoga, da Silenzio e 


serenità, la Piramide del 38° parallelo, nel giorno del solstizio d'estate, offre, a chi lo desideri, la possibilità dell'esperienza mistica basilare, primigenia, quella più semplice perché ancora legata ai sensi e preludio delle ulteriori. La visita dell'interno della Piramide è infatti questo: il passaggio dalla luce esterna fortissima, alla totale oscurità dello stretto tunnel di 30 metri totalmente buio, che porta all'interno del grande tetraedro di 30 metri di altezza, realizzato in acciaio cortex. Al termine, un tenue bagliore illumina l'inizio della ripida scala che conduce all'interno, 


affiancata dai tanti lumi, rigorosamente a cera. All'interno rocce e macigni: la durezza e l'oscurità del materialismo, il senso dominante è quello del soffocamento. Su uno degli spigoli del tetraedro c'è uno spacco dalla base al vertice: al tramonto, nel giorno del solstizio, vi si intravede il Sole. Poi il ritorno alla Luce, alla Bellezza, al respiro pieno. Un'esperienza da vivere che ho fatto anch'io, accompagnato da due artisti ceramisti di prestigio, Giuseppe Prinzi e suo figlio Giovanni. All'uscita, dopo aver ripreso fiato, ci siamo avviati per le navette ed abbiamo avuto la sorpresa più bella: un breve 


incontro con Antonio Presti. La sua Saggezza ha ben saputo soprassedere al nostro grezzo materialismo, degno dell'interno della Piramide, e così abbiamo avuto foto e selfie che per noi, insieme all'esperienza vissuta, la full immersion in uno Spazio ed un Tempo Sacri, sono il più bel Trofeo da portare a casa. Grazie Antonio.
Francesco latteri scholten